00 13/08/2006 16:08
Tragica settimana per i volontari
«semplici» e «di carriera»
11/8/2006

Lunedì scorso a Mattur, in Sri Lanka, 17 operatori umanitari dell’ong francese Acf sono stati trucidati a margine dei combattimenti tra esercito e ribelli. E’ il penultimo di una serie di incidenti nelle aree calde del mondo, uccisioni e rapimenti, che sempre più di frequente coinvolgono anche i cooperanti, quelli che sono spesso chiamati «volontari» ma che in realtà sono di solito «professionisti» della cooperazione. Professionisti perchè il loro lavoro è retribuito e la componente volontaristica, se permane, è forse nel senso di missione e nei sacrifici fuori dall’ordinario rispetto a un altro lavoro egualmente retribuito. I cooperanti professionisti, che forse potrebbero essere chiamati anche «volontari di carriera», sono consapevoli che gli incidenti fanno parte del mestiere, come lo sono i reporter di guerra i militari e le vittime dei conflitti. Con l’esperienza e la professionalizzazione il cooperante impara a prendere contromisure, a convivere con il rischio, per settimane, mesi, anni.

Due giorni dopo il massacro di Mattur, Angelo Frammartino è stato ucciso a coltellate a Gerusalemme. La sua morte è forse un po’ diversa, forse la sua è la tragedia di un puro volontario, un volontario «semplice» e non «di carriera» come erano i 17 cooperanti srilankesi. Frammartino infatti non era un professionista dell’umanitario. La sua missione doveva durare due settimane: l’aiuto che si può dare in pochi giorni è infinitesimale, se non forse per sé stessi. Il venticinquenne era uno di quei giovani che non si accontentano delle vacanze in riviera, voleva conoscere, vedere, toccare con mano. Poco prima di partire aveva scritto: «Sarebbe bello sposare la pratica non violenta in ogni problema e la pace come stadio al quale tendere».

Angelo Frammartino è partito volontario, con entusiasmo, forse con un po’ di ingenuità, immaginiamo con una grande carica di curiosità e con la speranza di «rendersi utile». Proprio per questo dunque animato da un puro spirito volontaristico, non ancora stemperato dalle mediazioni che subentrano quando l’umanitario diventa scelta di vita o mestiere. Rientrato in Italia forse avrebbe solo raccontato cosa aveva visto agli amici e continuato la sua vita nella comunità di Monterotondo alle porte di Roma, o forse avrebbe cercato di ripartire e di diventare anche lui un professionista a tempo pieno dell’umanitario internazionale. In due settimane non c’è neanche il tempo di seguire un briefing sui rischi, imparare a misurarsi con l’ambiente nel quale si vive e con sè stessi. Il sogno di Frammartino si è infranto in una morte inutile, dopo che il capoprogetto aveva consigliato di non uscire a quell’ora. E’ la tragica fine di un giovane volontario «semplice» che merita lo stesso rispetto di quella dei volontari «di carriera» che, pur esperti, ci lasciano le penne in un’imboscata in una delle tante regioni tormentate dell’Africa o dell’Asia.



da: www.lastampa.it/CMSTP/rubriche/rubricahome.asp?ID_blog=52

vanni